Heimlich/unheimlich

Il 23 maggio scorso la libreria viennese Hartliebs, per il tramite di Silvia Chiarini, ha lasciato che Il grido di Luciano Funetta e La bomba voyeur si presentassero a vicenda. È stato uno scambio intenso, in cui si è discusso e speculato sulla letteratura fantastica, sui limiti del reale, sulla relazione tra scienza e letteratura, tra vita e letteratura, e soprattutto sulla natura della voce che parla in un testo – la natura è cieca ma non neutra, così anche la voce. È qui, in questo passaggio, che credo di aver perso la testa per Lena Morse, protagonista del romanzo di Funetta. Perché Lena, come una certa musa di David Lynch, siede sul bordo del pericolo senza saperlo. Perché l’occhio di Lena, portatore sano di distorsioni e allucinazioni, nutre la voce narrante del Grido fino a spingerla in uno spazio di pura ambiguità.

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Uno spazio di pura ambiguità: così è anche Vienna per me oggi, una sorta di casa straniera. Il fatto che La bomba voyeur si apra con un passo di Robert Musil – il più viennese e il meno viennese tra tutti – non è irrilevante. L’immaginario straniero e sempre più familiare della città ha cominciato a fecondarmi e attecchire come un fungo: sogno delitti sul lungofiume, il fiume-limite per eccellenza, il Danubio blu (delitti-limite nella città blu);  sogno le falliche torri contraeree naziste nell’Augarten in centro – le torri che l’armata rossa provò a buttare giù con gli esplosivi e che niente, solo il tempo, l’entropia, la memoria involontaria butteranno giù. In quelle torri si trovano ora nascosti – sequestrati – tutti i miei personaggi. Voglio dire che la mia casa oggi è questa ambigua compenetrazione di alterità e intimità.

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