Utopia del lettore politico

Incrociando, in laboratorio, quel processo per cui la cosa politica diventa in tutto e per tutto cosa letteraria, con quella posizione per cui non conta, di un libro, ciò che esso vuole dire, ma come è stato costruito, una posizione che vuol dire “leggere un libro come se non fosse mai finito”[1] – incrociando questi due elementi, dicevo, viene fuori l’utopia del lettore politico.

Annino
[Illustrazione di Adriano Annino]

In un’intervista in forma di danza con Sara Mazzini si discute di questo argomento con un taglio particolarmente radicale – un taglio forse insostenibile, cioè pericoloso e autolesivo. Qui voglio fare una cosa diversa e delineare invece un approccio, un’attitudine analitica.

Nella storia dello sguardo, che è anche dunque una storia dell’occhio – cioè una storia dell’attitudine teoretica – c’è un punto di frattura importante. Dice Nietzsche:

“il mondo apparente è l’unico mondo vero”; e
“solo ciò che non ha storia si può definire”; e
“c’è sempre un più fondo”.

Nessuno di questi tre enunciati è propriamente vero. In ognuno di essi tuttavia risuona, in forma agonistica e fredda, l’enunciato tragico (patetico ovvero caldo) che chiude Aurora dello stesso Nietzsche: “altri uccelli voleranno oltre”: c’è sempre un più lontano, ci sono sempre mete ulteriori fin dove si dà un occhio che guarda; l’orizzonte si muove.
Ma un occhio che guarda è anche – forse soprattutto – un occhio che desidera: non è dunque che l’orizzonte si muove; è che invece l’occhio che desidera lo spinge in avanti e di lato. L’occhio desiderante che smuove l’orizzonte a spallate, che sfida ogni volta il senso ad apparire: utopia del lettore politico: tutto è sempre in gioco, niente è mai fermo; si vive d’intensità, si muore d’intensità.

***

[1] R. Piglia, El último lector, Anagrama, 2005, pos. 2079 ebook*.
* Nota autobiografica alla nota, ovvero Sull’utilità e il danno dello studio di Omero per la nostra vita: chi ha studiato Omero sa – sa che esiste, è esistita, una dimensione “arcaica”; che c’è stato un momento, un lungo momento (mi si lasci generalizzare un momento) in cui la cosa letteraria, la cosa artistica, esisteva solo ed esclusivamente in una dimensione pubblica. Forse il passaggio della cosa artistica dalla sfera pubblica a quella privata è ciò che si dice “moderno”. Ora il fatto che la cosa artistica, in epoca arcaica, si realizzasse unicamente nella sfera pubblica rende a quest’ultima una dimensione politica fortissima – politica nel senso più ampio possibile. Studiare la filologia classica, i testi corrotti del VI secolo avanti cristo di poeti che il giorno dopo sarebbero andati a combattere contro i Persiani – questo elemento, voglio dire, restituisce una prospettiva completamente diversa sulla letteratura. Il segno letterario di colpo non è più “dato”, niente è scontato, quel segno è come se emergesse da una lotta o da un equilibrio conseguente a una lotta. Quel segno ha un peso sulla comunità a cui si riferisce. Nel caso di Omero: quel segno è molto più importante dell’autore stesso.
Si tratta dunque di assumere e digerire un’attitudine, come dire, agonistica rispetto al fatto letterario. Se è vero che da un certo punto in poi il fatto letterario si è spostato del tutto nella sfera privata, allora quella sfera privata diventa il teatro vero e proprio dello scontro.

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