“Ciò che ancora oggi ha potere riconosciuto ha dalla sua parte la tradizione. Ma la tradizione è un partito ironico – da qualche parte, infatti, essa è natura.”
(Anonimo apolide)
Ah, la tradizione – questa lotta asimmetrica contro lo spazio-tempo, contro le leggi fondamentali della natura, come quando il futuro riscrive il passato e il presente o scompare o sonnecchia (o forse, mirá, non è mai esistito).
Esiste dunque una tradizione in CrapulaClub: quando uno dei nostri fa una presentazione di un libro o parla di letteratura in pubblico, gli altri dei nostri devono (qui, solo qui, Kant è il nostro Kant) mettergli/le deliberatamente i bastoni tra le ruote inviando domande lunghissime e difficilissime per il mezzo di una certa chat – per vedere se, in fondo, chi parla di letteratura dal vivo fa sul serio o invece è uno dei tanti respiratori automatici (quelli che, parlando, e sono purtroppo tanti, si limitano a contribuire all’aumento di anidride carbonica nell’atmosfera, poiché purtroppo parlando non possono fare a meno di respirare).
Luca Mignola, il più ligio e ortodosso esecutore di questa peculiare lotta per la tradizione, aveva mandato una domanda per me da fare durante la tavola rotonda a tema letteratura e politica (Bookcity, 18/11/2018). Il tempo, ovvero la logistica (la logistica è un’operazione perversa con cui Hegel ha intrappolato i filosofi francesi in una rete il cui tessuto è il principio retorico dell’incomprensibile) – la logistica, dicevo, ha impedito a me e Sara Mazzini di pronunciare la domanda e di rispondervi.
Oh Brother Mignola, where art thou?
Eccola qui sotto (la presente testimonia tra l’altro uno sforzo del neokantiano Mignola di risultare asciutto, comprensibile, persino forse onesto. Ci tengo a ricordare, per puro spirito di testimonianza, che una domanda di Luca durante una presentazione a Foggia mesi fa provocò spasmi e pruriti in un anziano signore che si alzò disgustato e prese l’uscita disgustato):
«Ne La bomba voyeur hai usato il grottesco come veicolo per la parodia, in particolare nei primi 15 capitoli del romanzo, vedi le allegorie dei personaggi politici o il nichilismo assoluto del ragazzo. Questo procedimento viene ribaltato nel capitolo 16, “Il pensiero dominante”. Che cosa sostituisce il grottesco nella narrazione politica e che cosa veicola la parodia?»
Ed ecco, per dovere e quasi per onestà, la mia risposta.
«Bisogna intendere il grottesco per quello che è: una relazione intima del narratore e della cosa narrata con l’eccesso, ovvero con la morte, ovvero con la verità della vita. Questa relazione di intimità con l’eccesso non fa altro che crescere nell’ultima parte del romanzo. Se c’è un cambiamento, questo riguarda lo spazio in cui la voce è immersa: si passa dalla scena di un teatro a quella di un laboratorio. In questo quadro, in cui la densità concettuale sembra raggiungere l’insostenibile infinità dentro la quale la materia non può esistere (e di fatto non esiste: in questa parte esistono solo idee contro idee; idee nude contro idee nude – ma cosa sono le idee nude?), la parodia diventa tautologia; ogni enunciato diventa tautologico. A quel punto, senza forzare nulla, senza indirizzare e spingere il carattere deformante della maschera grottesca, è possibile riscrivere alla lettera un poema di Leopardi e osservare come, in condizioni ideali di laboratorio, il suo significato muti sotto i nostri occhi. Ci si trova dunque in un luogo in cui la neutralità è tale che ogni suo elemento è così fazioso e schierato da ingaggiare una lotta senza quartiere – è la lotta per creare senso, per la significazione, voglio dire per la tradizione».
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