A ondate

Il gioco del fondo.
C’è una vertigine peculiare: sporgersi dal margine di qualcosa e guardarvi dentro.
Immaginiamo che questo qualcosa sia la letteratura. Ora, mentre siamo in bilico per guardare più a fondo nella vertigine, ci accorgiamo che non si vede niente. Che il senso – l’oggetto della visione – non è prossimo, ma neanche approssimabile.
Immaginiamo che nella situazione in cui ci troviamo, all’improvviso, si alzi il vento. La nostra posizione è precaria – sul margine di quel buco siamo in attesa di una visione, siamo distratti dal contesto, che per ipotesi è un vuoto e un silenzio. Dunque – si alza il vento a riempire il vuoto, a stornare il silenzio, a colpirci alle spalle. Siamo sbilanciati, fuori asse a causa della testa non allineata alle spalle, il baricentro alto, le gambe tese, ci manteniamo quasi sulle punte, l’istante prima di cadere.

Due fatalità.
Il ragazzo aveva già la fuga nel cuore – nel cuore come a dire in testa, nelle gambe, un ordine già trasmesso dagli emissari della scatola cranica alla periferia degli arti, nel cuore come a dire un lutto in fase di digestione che interessa più il colon che gli organi della circolazione, nel cuore come a dire un equivoco – quando incontrò Havor Treblinka e passò oltre.
Dall’altra parte era Janka sul confine, la città fremente.
«Dove siamo?», chiese il ragazzo.

«Siamo dove lo spazio e il tempo si misurano in vertigini», disse infine Havor Treblinka, il sacrificabile, l’uomo dai seni presaghi. «Ora puoi ascoltare la storia da cui ogni cosa è scaturita».
«C’è una storia?» chiese di nuovo il ragazzo, e una fame prese ad assalirlo, una voglia di uccidere e sporcare, di morire.
«Non morire ancora», sussurrò Havor «poiché questo è il modo in cui accadono le cose: tutto si dispiega davanti agli occhi dell’osservatore, che non vede niente».

dioniso-apollo

«A ondate»
Cadiamo. È la vertigine. Nel buco sentiamo un canto. È un coro e canta, sono le voci di chi ha giocato fino alla fine il gioco del fondo:

Una parte di queste faceva vibrare i tirsi dalla cuspide coperta,
una parte gettava fuori le membra di un torello fatto a pezzi,
una parte si incoronava con serpenti attorcigliati,
una parte celebrava con ceste vuote orge oscure,
misteri, che invano desiderano ascoltare i profani,
altre percuotevano i timpani con i palmi slanciati
o facevano nascere tintinnii sottili dal cembalo levitato,
a ondate i corni spiravano fuori versi dal suono rauco
e il flauto frigio risuonava con un canto che incute orrore.

[Il gioco del fondo continua qui]

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