È difficile pensare in queste condizioni. I pensieri sono acuti, ma non sono chiari. Ed è vero, come scrive Don DeLillo in apertura di Zero K, che everybody wants to own the end of the world; ora tuttavia la cosa slitta ed everybody needs to own it. Diari della pandemia ad uso terapeutico intersoggettivo.
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Inferno statistico.
Da una comunicazione professionale oltreoceanica.
“Caro Alfredo,
spero tu stia bene.
Qui ci giungono notizie allarmanti, però ho la forte impressione che questi allarmi siano azionati da una qualche mano interessata. E che per il coronavirus […] dimentichiamo che migliaia di persone muoiono ogni giorno per fame o sfinimento, destinati a vagare come se fosse l’inferno di Dante, da un campo profughi all’altro […] Però forse sono solo le mie idee distorte […]”
(10 marzo 2020)
“Cara ****,
Non so che dirti. In questo momento l’intero paese è in lock down, bisogna trovare un modo di interrompere la crescita esponenziale di contagi e terapie intensive, è un inferno statistico […]”
(11 marzo 2020)
Un inferno statistico: questa immagine, calda come un lazzaretto e fredda come un formalismo matematico acéphale, ha qualcosa di appropriato, mi dico. Servirà a qualcosa.
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Le condizioni dello sguardo.
La pandemia fuori, l’impotenza e la distanza dentro. C’è, mi sembra, in questo appiattimento sul qui e ora e in questo abbandono alla pura imminenza qualcosa di una funzione del desiderio a cui non è permesso più proiettare i propri sogni e fantasmi in avanti; privato di questo spazio-tempo (distanza), che è fisicamente illusorio e come tale verissimo, il desiderio chiamato utopia si ritrova in un corpo a corpo coi fantasmi che emana. Qui si gioca di nuovo la questione dell’incidenza della parola, del pensiero, sul presente.
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Foucault e i suoi bignami.
Il principio di disciplinamento della voce (la repressione) è la voce stessa. Richiamo un poema antico: siamo davvero pronti/a vietarci/ l’espressione/ la voce/ la repressione?
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Misure sanitarie per ogni evenienza.